Mercoledì Freudiani: 2022

lunedì 12 dicembre 2022

RELIGIONE E POESIA

Bucaneve
Ci sono cose che per noi esseri umani sono troppo grandi: dolore, solitudine e morte, ma anche bellezza, sublimità e felicità.
Per questo abbiamo creato la religione.
Ma cosa succede quando la perdiamo?
Quelle cose continuano ad essere troppo grandi per noi.
Ciò che ci resta è la poesia della singola vita.
E' forse abbastanza per sorreggerci?


Da "Treno di notte per Lisbona" di Pascal Mercier.

martedì 20 settembre 2022

EUTANASIA SUGLI ANIMALI: UN ULTIMO ATTO D'AMORE?

Recentemente ho preso una delle decisioni più strazianti della mia vita: quella di porre fine alla vita di un animale che amavo molto e che stava nella nostra famiglia da otto anni.
Purtroppo le sue condizioni di salute si erano aggravate e respirava a fatica. Il veterinario non aveva dubbi sul fatto che la cosa più giusta da fare fosse praticare l'eutanasia.

Non dimenticherò mai le ore nello studio veterinario davanti a quella gabbietta: lui se ne stava lì, tutte le forze impiegate in un unico scopo: quello di respirare.
La vita, quella vera, felice e spensierata, lo aveva già abbandonato. Al suo posto c'erano la fatica e le sofferenze della sopravvivenza. 
Tra un respiro affannoso e l'altro ci guardava, scuoteva la testolina e faceva alcuni saltelli qua e là.
Era tra noi, era presente. E aveva gli occhi vispi.

Mi sembrava di impazzire, credevo di avere le allucinazioni.
Un attimo prima vedevo un animale in agonia, un attimo dopo sorridevo davanti a quel batuffolo di pelo che sventolava simpaticamente il suo ciuffo.
Ogni volta che raccoglievo il coraggio per appoggiare la decisione del veterinario, mi sembrava di cogliere in lui un nuovo segno di vitalità. Così cambiavo idea e mi rilassavo, finchè non lo scorgevo dibattersi nuovamente nel disperato tentativo di incamerare un po' di aria.

La rabbia, il dolore e la frustrazione che provavo erano palpabili.
Quanta pena e quanta tenerezza ...
Ho imprecato più volte contro quel Dio impietoso che delegava a me il compito di scegliere tra la vita e la morte di qualcuno che amavo.

E poi l'atroce decisione.
... Ero lì, con il suo musino tra le pieghe della mia maglia e lo accarezzavo delicatamente mentre l'anestesia cominciava a fargli effetto. Lui si abbandonava fiducioso alle mie cure. Mi sentivo un mostro.
L'ultimo ricordo è quello del veterinario che lo prendeva dalle mie braccia e lo portava nell'altra stanza sussurrandogli dolcemente: "Vieni piccolino, adesso facciamo una nanna lunga, lunga ...".

mercoledì 29 giugno 2022

QUANDO L'AMORE NON BASTA

La Foresta dei girasoli” di Hayden Torey L. è la storia di Mara raccontata con gli occhi di Lesley, la tenace e sensibile figlia di diciassette anni.

Mara, donna di rara intelligenza e fascino, reduce dagli orrori della Germania nazista, è affetta da frequenti attacchi di depressione che devastano periodicamente la sua famiglia.

“Mio padre li chiamava 'momenti'. La mamma 'era in uno di quei momenti'. Quando si verificavano, lui si stringeva nelle spalle con aria perplessa e poi sorrideva, come se quella fosse solo una sua piccola, strampalata mania, come fa chi si getta il sale alle spalle dopo averlo rovesciato per sbaglio. Benché detestassi quegli episodi, per quasi tutta la mia infanzia pensai che fossero normali. Credevo che tutte le madri si comportassero così. Dovevo avere dieci o undici anni quando scoprii che le altre madri non lo facevano."

Cosa significa convivere con una donna che, senza preavviso, concede alla vita e ai ricordi di abbattersi su di lei dimenticandosi di tutto, persino dei propri figli? Ce lo racconta Lesley che, con toccante sincerità, riesce a trasmetterci il sentimento di dolore e smarrimento di una figlia che, nel coraggioso tentativo di difendere la madre dai suoi fantasmi, si ritrova a dover salvare se stessa dallo sconforto, dai sensi di colpa e dall’ansia generati da quella battaglia inutile, disperata e beffarda. Devastata dalla distanza incolmabile che la separa da quella madre fragile, inaffidabile e inafferrabile, Lesley perde il senso della vita.

L’amore non basta, né quello di Lesley né quello di suo padre che vive per la moglie, per starle vicino, per proteggerla dai ricordi, per fare da filtro tra lei e il mondo. L’amore non basta per salvare una persona la cui anima è ormai spezzata, per sempre.

sabato 18 giugno 2022

IL PONTE DELL'ARCOBALENO



Per E., l'unico coniglietto con la grinta di un leone.



C'e' un posto in Paradiso, chiamato "Ponte dell'Arcobaleno".
Quando muore una bestiola che è stata particolarmente cara a qualcuno, questa bestiola va al ponte dell'arcobaleno.
Ci sono prati e colline per tutti i nostri amici tanto speciali così che possano correre e giocare insieme.
C'è tanto cibo, acqua e sole, ed essi sono al caldo e stanno bene.

Quelli che erano vecchi e malati sono ora forti e vigorosi.
Quelli che erano feriti sono di nuovo integri e forti, come noi li ricordiamo nel sogno dei giorni e dei tempi passati.
Sono felici e contenti, tranne che per una piccola cosa: ognuno di loro sente la mancanza di qualcuno molto amato, qualcuno che hanno dovuto lasciare indietro...

Corrono e giocano insieme, ma un bel giorno uno di essi improvvisamente si ferma e guarda lontano, verso l'orizzonte.
I suoi occhi lucidi sono attenti, trema per l'impazienza: tutto ad un tratto si stacca dal gruppo e comincia a correre, volando sul verde prato, sempre più veloce.

Ti ha riconosciuto, e quando finalmente sarete insieme, vi stringerete in un abbraccio pieno di gioia, per non lasciarvi più.
Una pioggia di baci felici bagnerà il tuo viso; le tue mani accarezzeranno di nuovo l'amata testolina e fisserai ancora una volta i suoi fiduciosi occhietti, per tanto tempo lontano dalla tua vita ma mai assente dal tuo cuore.
Allora attraverserete, insieme, il Ponte dell'Arcobaleno ...


Con questa speranza nel cuore, ciao ...

giovedì 9 giugno 2022

ZARITE': CORAGGIO, LIBERTA' E PASSIONE

L’ “Isola sotto il mare” di Isabelle Allende è ambientato nel 1770 sull’isola di Saint Domingue, la colonia francese che diventerà la prima Repubblica nera di Haiti: all’interno dei campi, tra le canne da zucchero, gli schiavi muoiono di stenti e di fatica.
Zaritè (Tété) è una di loro anche se non vive all’aria aperta bensì nella casa patronale: ha nove anni quando viene venduta e solo undici quando verrà violentata la prima volta da Toulouse Valmorain, il padrone che la metterà incinta sottraendole il neonato subito dopo il parto.

Ossessionati dal desiderio di libertà, gli schiavi delle piantagioni fuggono, incendiano, devastano e arrivano, persino, a desiderare la morte.
Tété, invece, diventata adulta comprende che solo con la calma e il coraggio, solo coltivando le proprie capacità e rendendosi indispensabile potrà raggiungere l’emancipazione per se stessa e per i propri figli.

Tété, ironica e intelligente, si sottomette umile e silenziosa alla volontà dei padroni senza mai perdere la propria dignità.

“Aspetta, Tété. Vediamo se ci aiuti a risolvere un dubbio. Il dottor Parmentier sostiene che i neri siano umani quanto i bianchi e io dico il contrario. Tu che ne pensi?”, le domandò Valmorain (…)
Lei rimase muta, con gli occhi rivolti a terra e le mani giunte.
“Forza, Tété, rispondi senza timore. Sto aspettando …”.
“Il padrone ha sempre ragione” mormorò lei in conclusione.
“In altre parole, pensi che i neri non siano completamente umani …”,
“Un essere che non è umano non ha opinioni, padrone”.

Tété, attenta e sagace, accetta la vita senza subirla con la consapevolezza che anche le situazioni peggiori, se affrontate con lucidità e decisione, possono offrire delle piccole occasioni di cambiamento.
La sua esistenza è una continua evoluzione in ruoli diversi: lei coglie ogni nuova opportunità di vita senza esitazione adattandosi ai compiti e alle situazioni più disparate: da bambina a madre, da amante a badante, da nutrice a infermiera; in tutte le figure appaiono evidenti la passione, l'amore, la tenacia di una donna non si piega al fato, ma che balla per sentirsi libera.

Balla, balla, Zaritè, perché lo schiavo che balla è libero … finché balla.

Così, con pazienza calcolata e impegno, Tété costruisce il proprio destino: grazie alle sua curiosità e alle sue qualità riesce a diventare la schiava personale della moglie del padrone tanto da esserle indispensabile, ad imparare l’arte di prendersi cura dei malati, ad approfittare di una situazione unica nella sua drammaticità per estorcere al padrone la promessa di libertà.
Quello di Tetè è il silenzio di chi osserva, la passività di chi nasconde una forza d’animo e una poliedricità insospettabili.

Arrivata a quarant’anni, facendo un bilancio della propria vita, Tété dice: ”Ho avuto maggior fortuna di altre schiave. Vivrò a lungo e la mia vecchiaia sarà gioiosa, perché la mia stella – la mia z'étoile – brilla anche quando la notte è luminosa’‘.

Ma noi lo sappiamo, che la sua fortuna si chiama tenacia e la “sua z'étoile” ha un unico nome: il Coraggio.

venerdì 27 maggio 2022

DONNE CHE SACRIFICANO LA PROPRIA VITA PER IL PARTNER

Negli ultimi anni ho conosciuto due donne che con le loro storie mi hanno costretto a riflettere sugli equilibri di un legame di coppia.
Nell'articolo precedente ho affermato che una donna ha il diritto, raggiunta una certa età e una certa durata di rapporto, di costringere il partner ad una scelta, soprattutto quando si parla di figli. La conferma di questa verità, che prima intuivo solo in modo confuso, l'ho avuta il giorno in cui ho conosciuto A. e D.
La prima una ex collega quarantacinquenne con una bambina di sei anni e un grande rimpianto: il secondo figlio, cercato con forza ma, purtroppo, mai avuto. Troppo tardi ...
La causa di questo ritardo sulla "tabella di marcia": un marito farfallone e determinato a godere della propria libertà il più a lungo possibile e lei, A., convinta che fosse giusto rispettare le esigenze e i tempi del proprio partner.
Con un unico, triste, risultato: un figlio in meno in cambio di alcuni anni di spensieratezza in più.
Un figlio che nessuno potrà più darle.

D., invece, è stata per alcuni anni la mia insegnante madrelingua di inglese.
Anche lei quasi cinquantenne, simpatica e ciarliera ma con un velo di tristezza negli occhi.
Un giorno, dopo parecchio tempo, mi ha raccontato la sua storia, durata quasi quindici anni, con un uomo inglese divertente e carismatico. Un grande amore che però non è mai arrivato a una svolta perchè ogniqualvolta lei parlava di matrimonio o di figli lui se la svignava, ridendo e ripetendole "abbiamo una vita davanti!".
Si sono lasciati l'anno prima del suo quarantesimo compleanno: lui si era invaghito di una collega.
Distrutta, D. ha preso il primo volo e si è trasferita in Italia dove vive ancora oggi in compagnia del suo cane. Non si è più ripresa. Talvolta, mi raccontava, si prende cura dei figli piccoli di un'amica e la sera, quando ritorna nel silenzio della sua casa, piange per quel bambino che non potrà mai avere.

Mi piacerebbe non dover più ascoltare storie di uomini egoisti ed egocentrici ma so che non sarà possibile. Mi limito, quindi, a sperare che anche le donne più fiduciose e comprensive abbiano il coraggio di lottare con forza quando si tratta di difendere la propria vita e i propri sogni.

martedì 24 maggio 2022

L'ANSIA DI UN FIGLIO

Credo che per una donna varcare la soglia dei trent'anni costituisca una prova piuttosto dura: non importa quali siano le sue aspirazioni o progetti in quel momento, tutte le persone intorno si sentiranno in dovere di ricordarle che è iniziato il countdown.
Anche la donna più serena e spensierata si ritroverà bene o male a fare i conti con la propria vita e le proprie scelte. E, nei casi peggiori, con le proprie paure e sensi di colpa: il tempo che scorre, la fertilità che diminuisce con il passare degli anni, i nonni che invecchiano aspettando la nascita di un nipotino ...
Io stessa, oppressa da questi pensieri, mi sono trovata in difficoltà nel consigliare a me stessa l'approccio migliore.
Il fatto è che a differenza di molte altre partite dove la lucidità di pensiero e la volontà possono fare la differenza, sulla nascita di un figlio c'è una variabile non governabile, quella biologica, che gioca un ruolo fondamentale.
In questo caso, pertanto, l'unica strategia possibile è quella di cercare di aumentare il numero delle possibilità.
Forse potrà sembrare poco romantico, farà inorridire tutti coloro che professano la "non programmabilità di un figlio" ma dal mio punto di vista è assolutamente folle sfidare la sorte quando in gioco c'è qualcosa di tanto prezioso. Provare fatalisticamente ad avere un bambino a quasi quarant'anni e poi disperarsi perchè non si riesce mi sembra veramente inconcepibile.
Come si traduce in pratica? Dandosi un termine, come coppia, per aggiustare la propria vita dopodichè cancellare tutti i "se" e tutti i "ma" (la casa troppo piccola, l'avanzamento di carriera, ...) e buttarsi anima e corpo in questa magica avventura che è il concepimento di un figlio.
E se, come spesso accade, il partner temporeggia credo che una compagna sia autorizzata a stabilire un ultimatum.
Solo in questo caso, infatti, ritengo che una donna abbia il diritto di imporre delle regole per il semplice fatto che la natura, dura e impietosa, le impone a lei.

giovedì 21 aprile 2022

LE STATISTICHE DI ACCESSO PREMIANO GERICAULT

Dalle statistiche di accesso risulta che 61 utenti hanno trovato questo sito cercando informazioni su Géricault e i suoi dipinti.
Forte è stata la mia sorpresa e soddisfazione nel vedere tanto interesse attorno a questo grande artista di cui, putroppo, si parla così poco.

mercoledì 23 marzo 2022

ALICE IN WONDERLAND - UNA FAVOLA FILOSOFICA

Alice in Wonderland è un film dai numerosi risvolti filosofici: narra, infatti, la storia di una giovane fanciulla che, in procinto di sposarsi con un lord, sceglie di ribellarsi alla condanna di un destino noiosamente ordinario e di tuffarsi in una profonda tana all’inseguimento di un coniglio pazzoide, il Bianconiglio. Alice inizia, così, una straordinaria avventura in un mondo dove tutte le persone migliori sono matte, dove essere distratti o riflettere sulla bellezza di un uccello in volo è la regola.
La gente vede la follia nella mia colorata vivacità e non riesce a vedere la pazzia nella loro noiosa normalità!”, afferma con orgoglio il Cappellaio Matto.

Tim Burton nella sua interpretazione frena il ritmo dissennato e la vena nonsense delle opere di Lewis Carrol, elogio puro e incondizionato della follia. A parer mio la sua rivisitazione è assolutamente positiva: rendendo il racconto meno caotico e paradossale favorisce la riflessione.
E’ più facile, infatti, seguire Alice nel suo viaggio e scoprire, assieme a lei, che i pensieri più strani sono spesso i più significativi, che superare i limiti e realizzare i sogni è possibile, anzi è più facile di quanto possa sembrare.
E’ impossibile solo se pensi che lo sia ...
Così nella battaglia guidata da Alice, l’ipocrisia e le convenzioni soccombono (i nasi e le orecchie finte cadono) per consegnare la vittoria al regno della strampalatissima Regina Bianca e al suo esercito di bizzarri e fedeli sostenitori.
Al termine della sua missione tra i magici personaggi di Sottomondo, Alice torna alla vita reale con la più preziosa delle conquiste: la conoscenza di se stessa. “Come fai a sapere cosa devi fare se non sai nemmeno chi sei?! ”, la ammonisce, durante l’avventura, il Brucaliffo.
Così, all’uscita dalla tana, Alice si ritrova diversa: una donna adulta che, non solo si ribella all’ipocrisia e al conformismo, ma ha la consapevolezza necessaria per esprimere se stessa al mondo con forza, convinzione e coraggio.

venerdì 11 marzo 2022

IL MISTERO DEI CALZINI SPAIATI

La decimazione dei calzini avviene puntualmente ad ogni lavaggio. E’ una regola.
Per esempio l’altra sera ho aperto l’oblò della lavatrice e ho trovato nove calzini di cui sei regolarmente accoppiati e tre uno diverso dall’altro. Ho ricongiunto frettolosamente i primi per poi dedicarmi amorevolmente ai secondi.
E’ tutt’altro che una fortuna per un calzino sopravvivere ad un lavaggio perdendo il proprio compagno: nella migliore delle ipotesi il suo destino sarà occupare un angolo del cassetto, in solitudine, disoccupato e in uno stato di perenne ansietà per il proprio destino.
Cosa succeda ai dispersi, sinceramente, è un mistero ancora insoluto. Talvolta ricompaiono improvvisamente nei posti più impensati, il più delle volte non vengono più ritrovati. Forse la lavatrice per ogni lavaggio richiede il sacrificio di alcuni calzini. E’ una delle ipotesi più probabili.

La cosa importante è che da quando ho smesso di preoccuparmi degli smarriti e della loro ricerca per riflettere sullo stato degli abbandonati affronto il bucato con più sensibilità, dedicando ogni volta un pensiero a tutti coloro che, smarrito il proprio compagno, si trovano improvvisamente a fare i conti con se stessi, i propri pensieri e il silenzio. E mi intenerisco.
E’ un grande artista colui che mi ha insegnato la bellezza dell’astrazione e della fantasia, anche sui fatti più semplici della vita. Vinicio Capossela.
Lui che, nel 2008, ha commosso tutti con la canzone, la bellissima fiaba, "Il paradiso dei calzini".


Dove vanno a finire i calzini/quando perdono i loro vicini/dove vanno a finire beati/i perduti con quelli spaiati/quelli a righe mischiati con quelli a pois/dove vanno nessuno lo sa.

martedì 8 marzo 2022

L'AMICIZIA IN UFFICIO

Mi capita spesso di vedere gente farsi in quattro per costruire delle relazioni di amicizia sul posto di lavoro organizzando aperitivi, festicciole oppure condividendo aspetti della propria vita privata in maniera del tutto inopportuna.
Siccome io tendo a coltivare i rapporti interpersonali lavorativi per lo più nella forma di piacevoli collaborazioni, mi sono sempre chiesta che cosa spingesse molte persone a cercare con forza dei legami anche con colleghi con cui, oggettivamente, avevano ben poco da spartire.
Il motivo, a pensarci bene, è facilmente intuibile. Dentro l'ufficio tendono ad attivarsi gli stessi comportamenti istintivi che si instaurano all’interno di qualsiasi altro gruppo sociale: il bisogno di vicinanza e di condivisione che inducono al rapporto con gli altri per combattere la paura della solitudine e superare l’ansietà e le difficoltà in generale.
Il timore di diventare il bersaglio preferito dei pettegolezzi e critiche del gruppo, di venire esclusi dalle conversazioni o iniziative, spinge le persone a lottare per ottenere la stima e la solidarietà di presunti alleati. Per questo motivo non è raro vedere individui molto diversi tra di loro appigliarsi a improbabili interessi in comune pur di non restare soli.
Difficilmente le persone intuiscono che queste relazioni non spontanee e basate sull’insicurezza spesso portano più guai che benefici. Infatti, mancando alla base una stima o affetto sinceri, questi legami difficilmente hanno lo spessore per resistere all’ambizione, gelosie e pressioni che caratterizzano tipicamente un contesto lavorativo. In più, il desiderio di accorciare le distanze in tempi rapidi porta di frequente questi individui a instaurare relazioni esclusive o eccessivamente confidenziali fin da subito. Niente di più sbagliato in un ambiente come l’ufficio dove è, sicuramente, più intelligente privilegiare il gruppo al singolo e relazionarsi agli altri con discrezione e attenzione, evitando di mettere in piazza le proprie debolezze e vulnerabilità.

Con questo non intendo promuovere una vita d’ufficio in solitudine, anzi. In fin dei conti trascorriamo al lavoro 220 giorni all’anno! Un buon affiatamento e, perché no, un rapporto di amicizia con un/a collega che probabilmente è in grado di comprendere più di altri le nostre ambizioni e progetti nonché le nostre difficoltà e preoccupazioni, è quanto di meglio si possa auspicare.
L’importante è lasciare che le cose accadano in maniera naturale, senza forzare la mano e imparando a convivere con gli altri nel modo più tranquillo e sereno possibile. Se poi, con il passare del tempo, accade di costruire un’intesa particolare con un/a collega, complici la stima e la sintonia, allora è probabile che verranno da sé anche la fiducia e l’affetto. In quel caso, solo in quello, il lavoro passerà in secondo piano e si potrà parlare veramente di amicizia.

giovedì 3 marzo 2022

I BENEFICI DELLO YOGA

Raggiungere importanti livelli di conoscenza e interiorizzazione della disciplina yoga richiede molto tempo e pazienza. Ho visto parecchie persone abbandonare la pratica perchè non si sentivano adeguatamente coinvolte.
Niente di più sbagliato, perchè lo yoga è un'esperienza che può essere approcciata a diversi livelli di impegno e di consapevolezza.
Anche coloro che non ne percepiscono l'importanza filosofica o non credono nella meditazione, possono tranquillamente fare dello yoga un benefico stile di vita.
Praticare le asana, ossia le posizioni dello yoga, è, infatti, un modo unico per eliminare le tensioni fisiche e superare i condizionamenti psicologici che impediscono di entrare in comunicazione con se stessi e con gli altri.
Parimenti salutari sono sia le asana distensive, che favorendo uno stato di abbandono, aiutano ad allentare lo stress e curare l'ansia sia le posizioni difficili che, concentrando la mente sul corretto svolgimento dell'esercizio, favoriscono la liberazione dai pensieri.
Così la combinazione di allungamenti e contrazioni muscolari agevola l'ossigenazione dei tessuti, la regolazione del battito cardiaco e la riarmonizzazione delle funzioni digestive ed intestinali.
In più, alcune posizioni favoriscono concretamente il drenaggio delle scorie metaboliche, la purificazione dalle tossine, la riequilibrazione del metabolismo e la difesa del sistema immunitario.
In particolare, il controllo della respirazione, che accompagna ogni esercizio, offre un aiuto miracoloso nel governare l'emotività, canalizzare l'energia e ritrovare l'armonia.
L'aspetto più importante è che, una volta interiorizzate le basi della pratica, è sufficiente un tappetino per raggiungere uno stato di quiete profonda cullato dai respiri e di scioglimento di tutti i muscoli del corpo.

Personalmente, grazie allo yoga, ho imparato a conoscere e sentire le singole parti del mio corpo e la loro importanza.
Ho scoperto la bellezza di coccolare i piedi e le mani, sciogliere la colonna vertebrale e massaggiare la bocca dello stomaco.
Ho capito che la maggior parte dei limiti che ci poniamo è di natura psicologica e che imparare a gestire l'emotività negativa rende la vita molto più semplice.
La sensazione di benessere è immediata e, con essa, la felicità il buonumore. 

lunedì 28 febbraio 2022

LA PAURA DEL CAMBIAMENTO

Ci sono persone che non possono fare a meno dei cambiamenti, altre che ne sono terrorizzate.
Nel primo caso spesso ci troviamo di fronte ad una forte inquietudine interiore che porta l’individuo a credere erroneamente che, modificando ciò che lo circonda, egli potrà finalmente trovare la serenità e la pace interiore.
Il secondo caso, invece, riguarda persone che costruiscono la propria sicurezza sull’abitudine, i piani prestabiliti, la ripetitività dei gesti.
Costoro temono che qualsiasi cambiamento possa destabilizzare il proprio equilibrio e, raramente, intuiscono quanto questo comportamento li renda di fatto ancora più fragili, fisicamente pigri e mentalmente annoiati.
Quando tutto è conosciuto e prevedibile, quando ogni giorno è uguale al precedente, quando tutto è sotto controllo è facile sentirsi sicuri e protetti. Si ha l’impressione di tenere lontani i pericoli quando, in realtà, si sta aprendo la porta principale al più pericoloso dei nemici: il tedio, l’inerzia subdola e ingannatrice, che uccide l’entusiasmo e spegne la creatività.
Spesso è proprio la tendenza ad evitare le sfide e ad allontanare ogni fatica la principale causa di malesseri, stati depressivi e nevrosi.

Affrontare difficoltà e superare ostacoli serve, acutizza l’ingegno. Una vita troppo facile e una strada spianata mettono a riposo il cervello.

Come si può combattere la paura del nuovo ed evitare di cadere in questa trappola mortale?
1. Innanzitutto, prendere consapevolezza che l’ansia che si prova è in realtà una tensione positiva che potrà tradursi in energia e vitalità intellettuale.
2. Accelerare il processo decisionale in modo da spezzare la catena degli indugi e dei ripensamenti (a questo proposito vi consiglio la lettura di un altro dei miei articoli). Non c’è cosa più sbagliata, infatti, del pensare in maniera insistente alle conseguenze future e al modo per affrontarle.
Nella maggior parte dei casi gli eventi si muovono in maniera imprevista e subentrano variabili non calcolate, per cui è inutile perdere troppo tempo nel formulare ipotesi e contro-ipotesi che hanno come unico effetto quello di affaticare la mente e aumentare le preoccupazioni.
3. Cominciare a vivere la nuova situazione appena se ne ha l’occasione. Ad esempio se si decide di cominciare un nuovo lavoro non aspettare la data di inizio ma proporre degli incontri operativi preliminari. Saranno sicuramente apprezzati dai superiori e in più permetteranno di toccare con mano le attività e ridimensionare le ansie generate dall’immaginazione.
4. Pensare che, anche qualora il cambiamento dovesse rivelarsi negativo, sarà stata comunque un’occasione di crescita, una prova superata che, se non altro, avrà riattivato i sensi e risvegliato la mente.
5. Provare stima verso se stessi: ogni decisione che comporta l'allontanamento da uno stato di equilibrio è un atto di coraggio che rende le persone più forti, migliori.

La brama di comodità diventa una domatrice, e con rampino e frusta fa dei vostri desideri delle marionette. (…) In verità la brama di comodità uccide la passione dell’anima, e va poi ghignando al suo funerale (K. Gibran).

sabato 26 febbraio 2022

L'ARTE DI THEODORE GERICAULT

Géricault è un artista che io amo molto, nel periodo in cui disegnavo con il carboncino ho preso moltissimo spunto dalle sue opere e dal suo stile.
Di lui si parla poco (io stessa l’ho scoperto per caso, sfogliando un libro d’arte), forse a causa della sua morte molto precoce (1791-1824), forse per la natura del tema prevalentemente trattato nei suoi dipinti: il mondo della medicina sia dal punto di vista scientifico (e per certi versi macabro) sia dal punto di vista psichiatrico.

Il suo massimo capolavoro è sicuramente La zattera della “Medusa” (1818-1819), un quadro che prende spunto da un fatto di cronaca successo nel 1816: l'affondamento della nave francese Meduse al largo dell’Africa Occidentale. Gli occupanti della nave, circa 150 persone, si imbarcano su una malcerta zattera e affrontano giorni e giorni di navigazione fra terribili disagi, un'esperienza dolorosa che condusse alla morte della gran parte di loro. Alla fine i superstiti furono solo una quindicina, che sopravvissero alla disperazione, alla fame e alla sete anche grazie ad episodi di cannibalismo.
In ogni punto del quadro regnano i due sentimenti della speranza e della disperazione, due forze opposte che lottano drammaticamente tra di loro e che, nei punti di maggiore intensità, danno forma a due nitide piramidi: la prima che parte dall’immagine dell'uomo morto in basso a sinistra ed ha il vertice nell'uomo di spalle che sta agitando un panno in cerca di aiuto e la seconda che parte dalle onde minacciose del mare per giungere all'albero che sorregge la vela.
Per realizzare questo quadro, Géricault affitta uno studio vicino all'ospedale, ed esamina dal vivo malati, moribondi, cadaveri, copiando persino pezzi anatomici (teste, braccia, piedi) da utilizzare per indicare il cannibalismo.
A fare da modelli sceglie alcuni tra i propri amici (uno, in particolare, con l'itterizia, scelto come perfetto per il ruolo), tra cui l'amico pittore Eugene Delacroix (che è l'uomo morto in primo piano a sinistra).

Nel 1822 l’artista si ammala di una forma depressiva che lo porta a rivolgersi al giovane e già noto alienista dottor Étienne -Jean Georget che, a sua volta, lo presenta al celebre medico e scienziato Jean-Étienne Dominique Esquirol. 
E’ la frequentazione di questi due pionieri della psichiatria moderna (furono i primi scienziati a denunciare l’emarginazione dei malati mentali), che porta Géricault a realizzare dal vivo i dieci ritratti di alienati monomaniacali (cinque dei quali andati dispersi). Un’indagine scientifica della follia attraverso la pittura, che costituisce una novità assoluta nella storia dell’arte.
Si tratta di quadri di straordinaria bellezza, personaggi difficili da dimenticare, che colpiscono per le espressioni contrite, i volti segnati dalla sofferenza, gli occhi cerchiati e rivolti verso un unico obiettivo: l’oggetto della loro ossessione.
Géricault, attraverso la pittura, studia in profondità l'individuo e i pensieri più sconosciuti dell’animo umano per poi esprimerli con un realismo e una precisione tali da rendere quasi possibile la diagnosi.

Inquieti e drammatici restano, a parer mio, tra i ritratti più belli mai realizzati.

Da sinistra in senso orario: mania del rapimento di bambini, la cleptomania e l'assassinio, l'invidia e la mania del comando militare. In questa rappresentazione manca la mania del gioco.

mercoledì 23 febbraio 2022

L'AMICIZIA TRA DONNE

L’amicizia maschile è un legame per certi versi meno intimo ma, generalmente, più solido e duraturo di quello femminile.
L’uomo vanta spesso un discreto numero di amici storici, con cui condivide prevalentemente momenti ludici, sociali o professionali: la partita a calcetto, la birra al pub, le idee di business.
Si tratta di relazioni spensierate e genuine dove regnano, soprattutto, l’allegria e il divertimento.
Per le donne non è quasi mai così.

Da ragazzina ero fermamente convinta della superiorità delle amicizie femminili, per la complessità di rapporto che spesso le caratterizzava, così
carico di condivisione, complicità, unione.
In particolare, ritenevo che le donne avessero la straordinaria capacità di vivere con profondità ed empatia il sentimento, contrariamente all’uomo, in grado solo di vederne l’aspetto più gioviale e superficiale.
Crescendo, però, sono stata costretta a rivedere le mie idee, ad ammirare la fedeltà e la dedizione degli uomini verso i propri compagni e a rivalutare la qualtà dei loro legami di amicizia, capaci di resistere al tempo e ai cambiamenti.
Non è raro vedere mariti dribblare gli impegni famigliari pur di non rinunciare alla serata con gli amici.
Gli uomini sanno che l’amicizia è un tassello fondamentale del loro equilibrio e lo difendono, sanno che quel lato creativo e istrionico della loro personalità, che emerge all’interno del gruppo, morirebbe se perdessero quei momenti di libertà e spensieratezza.
La donna, invece, superata una certa età allenta pian piano ogni legame di amicizia per poi ripescarlo all’occorrenza, per lenire qualche dolore o condividere qualche frustrazione.
Le amiche si riducono così ad un’ancora di salvezza per superare i momenti critici, come una storia finita o una vita famigliare divenuta insoddisfacente.
Quelli che un tempo erano legami autentici e preziosi si trasformano in relazioni di mera utilità, destinate a colmare vuoti momentanei e a risorgere o scomparire a seconda dei bisogni, degli umori e degli accadimenti,
Si tratta di dinamiche che osservo ogni giorno e che tendono ad intensificarsi con il passare degli anni.

Fortunatamente i miei legami più importanti si sono rivelati un po’ più resistenti della media. A dire il vero sono soprattutto io quella che spinge per organizzare incontri e cene, quella che predica la difesa degli spazi di intimità tra donne.
Più passa il tempo e più mi trovo ad affrontare vere e proprie battaglie: l’inerzia e i fidanzati sono i nemici più duri da combattere.
Per fortuna però, quando si riesce ad organizzare, il commento è unanime: “sono davvero rigeneranti queste serate, fanno bene all’anima”. E allora mi dico che ne è valsa la pena.
Trascorrere il tempo con le amiche più intime è terapeutico, addolcisce il cuore e migliora la vita. Quanta stupidità ci spinge a dimenticarlo!
Circondata da quell'alone di affetto, per una donna è più facile ritrovare se stessa, abbandonare per qualche ora il proprio ruolo di fidanzata, moglie o madre e condividere sogni e paure, sicura che non resteranno inascoltati.

Una delle mie più care amiche, dopo anni di appuntamenti mancati e scuse patetiche, un giorno, messa alle strette, mi ha confessato di non condividere la mia idea di amicizia: secondo il suo punto di vista, con il passare del tempo, un rapporto tra amiche doveva evolvere, coinvolgere i partner e, più avanti, le rispettive famiglie. Doveva, insomma, diventare più maturo. Secondo lei, alla nostra età, le ore passate a chiacchierare davanti a un caffé suonavano ridicole ed infantili.
Da quel giorno non ci siamo più sentite. A lei dedico queste parole di Kahlin Gibran, sperando che un giorno possa comprenderne, “sentirne” il significato:
L’amico è il vostro bisogno corrisposto.
E’ il campo che seminate con amore e mietete rendendo grazie.
E’ la vostra anima e il vostro focolare;
Perché a lui giungete affamati e in cerca di pace.

domenica 20 febbraio 2022

IL GRANDE FRATELLO SANREMESE

Non sono mai stata una grande fan di Sanremo. Ogni anno una rapida sbirciatina e la solita domanda: "quando si decideranno a migliorare il format, quando impareranno a valorizzare la musica?".
Poi, quest'anno, la sorpresa: "Sanremo, record di ascolti!".
Mi sintonizzo e subito capisco come sono riusciti a portare la musica nelle case: veicolandola con un programma spazzatura, annegandola in un mare di quel trash tanto amato da noi italiani.
A cominciare dalla conduttrice, un'Antonella Clerici impacciata, sgraziata e fuori forma, che non perde occasione per mettere in piazza le proprie emozioni. Cosa c'è di meglio del godersi il triste spettacolo di una persona visibilmente sotto pressione e costretta ad indossare abiti troppo stretti che la fanno apparire ancora più ridicola?
Per non parlare del vergognoso brano cantato da Emanuele Filiberto (dopo questa buffonata canora, il minimo sarebbe rispedirlo a Ginevra!) e della canzone nonsense, inspiegabilmente ancora in gara, di Irene Fornaciari (due sole frasi ripetute fino all'esaurimento nervoso. Povero Zucchero!).
E, stasera, tanto per soddisfare un po' di morbosa curiosità, un estratto del chiacchierato musical della sempre più patetica Lorella Cuccarini. Casualmente si è scelto di portare sul palco dell'Ariston proprio la parte dove la non più giovane ballerina appare completamente nuda, "coperta" solo da una chitarra.
E poi gli amatissimi aforismi di Cassano, l'interminabile monologo di Lippi, l'ipocrisia del "caso Morgan" (gli hanno levato cinque minuti di Sanremo per dargli un'intera puntata di Porta a Porta!)...Ma meno male che c'è Carla Bruni...Se si parla di te il problema non c’è...

giovedì 17 febbraio 2022

LA BELLEZZA DELLE EMOTICON

La punteggiatura è sempre stata un tasto dolente per gli alunni di tutte le generazioni.
Basta aprire un qualsiasi libro di grammatica per scoprire che a quei semplici segni corrispondono un'infinità di usi e di regole noiose: il punto corrisponde a una pausa prolungata, la virgola indica una pausa breve, il punto e virgola serve a spezzare un periodo troppo lungo, i due punti introducono una spiegazione o un elenco. E così via.
Mi ricordo ancora i segni rossi della maestra. Era impossibile scrivere un tema perfetto: una virgola in meno o di troppo c'era sempre!

Poi è arrivata la tanto discussa "generazione web", quella che dialoga con 20 parole per intenderci, che ha saputo reinterpretare in maniera squisitamente creativa la tanto odiata punteggiatura.
Grazie a loro il serioso punto, l'indomita virgola, l'incompreso punto e virgola e gli inseparabili due punti hanno pian piano preso vita trasformandosi in simpatiche faccine dallo straordinario potere comunicativo.
Basta un sorrisino :-) a dare un tocco di umorismo ad una frase, un'occhiolino ;-) a sdrammatizzarla, una lacrimuccia
:-'( ad aggiungere un po' di sentimento. Personalmente le trovo deliziose.
Qualcuno potrà obiettare che niente come la punteggiatura tradizionale è in grado di imprimere il ritmo e modulare il tono di un discorso in maniera elegante e armoniosa.
E' fuori dubbio: il linguaggio delle faccine non ha (e non potrà mai) sostituire la sintassi classica. Ha semplicemente aggiunto un po' di colore al nostro bagaglio espressivo. E' un nuovo modo di comunicare.
E' l'idioma del cuore, della fantasia e dell'assenza di regole. L'idioma di chi, di fronte alla celebre frase di Edgar Allan Poe "Lo scrittore che trascura la punteggiatura è destinato a non essere ben compreso", ha trovato un modo originale per dargli ragione.

mercoledì 16 febbraio 2022

CONSIGLI POPOLARI ANTI-ANSIA

Ci sono due proverbi popolari che costituiscono per me una sorta di salvavita, due frasi che nella loro semplicità racchiudono la preziosa saggezza che nasce dall'esperienza.

"TOLTO IL DENTE, TOLTO IL DOLORE" è un consiglio molto savio, da non confondere assolutamente con la raccomandazione di agire in fretta, istintivamente.
Significa, invece, evitare di permanere a lungo in uno stato di indecisione.
Non c'è cosa più dannosa del crogiolarsi nei dubbi: la mente si sovraccarica, si confonde e perde di vista gli aspetti che contano.
Come si può evitare che ciò accada?
Fondamentalmente stabilendo un tempo massimo per riflettere e portare a termine tutte le azioni necessarie per compiere la scelta: dalla raccolta di informazioni, al confronto con gli altri, all'ascolto del proprio istinto, ...
E quando la scadenza si avvicina, quando la paura di prendere la decisione sbagliata si fa sentire e la tentazione di temporeggiare diventa forte, ecco che il vecchio detto può venire in aiuto, per dare quella spinta, quello stimolo ad agire ora, subito, senza più ripensamenti.

"DAI TEMPO AL TEMPO (e tutto si risolverà)" è, invece, una sacrosanta verità.
A tutti noi sarà capitato di affliggerci nella vita per fatti, imprevisti o cambiamenti che, nel momento in cui si verificavano, sembrano privi di soluzione.
Allo stesso modo ciascuno di noi avrà sicuramente provato a ripensare agli stessi problemi dopo qualche tempo, quando ormai la cosa era "acqua passata".
Quante volte il ricordo dell'ansia e della preoccupazione provata ci appare ingiustificato, quasi ridicolo? Quante volte ripensiamo con il sorriso ad episodi che, a suo tempo, ci avevano angosciato?
Il più delle volte arriviamo addirittura a trasformarli in aneddoti da raccontare agli amici!
A me è successo talmente tante volte che mi risulta impossibile parlare di casualità. E' ormai una regola e, in quanto tale, non posso più permettermi di scordarla.
Pertanto, ogni volta che provo agitazione per qualche intoppo o paura verso qualche incognita, mi dico: "vuoi davvero un altro pretesto per burlarti di te stessa in futuro? Non fare la ridicola! Tanto lo sai che prima o poi tutto si aggiusterà!".

martedì 15 febbraio 2022

LA MANCANZA DI FIDUCIA (l'incapacità di affidarsi agli altri)

La fiducia negli altri è un sentimento che si consolida già nei primissimi mesi di vita del bambino, grazie ad un meccanismo di bisogni infantili puntualmente e amorevolmente soddisfatti. Avvolto dalle premure materne il bambino impara che l'ambiente che lo circonda è gentile e amichevole e sviluppa un istinto di apertura fiduciosa verso il mondo esterno.

In una serie di esperimenti, piccoli di scimmia venivano messi a contatto con due “madri fantoccio”: una fatta di freddo metallo alla quale era attaccato un biberon e un’altra senza biberon, ma coperta di una stoffa morbida, spugnosa e pelosa. Gli studiosi notarono che le piccole scimmie trascorrevano fino a diciotto ore al giorno attaccate alle madri "pelose" anche se erano nutrite esclusivamente dalla madri “allattanti ...” (Coniugi Harlow, 1958)


N.B. Ho deciso di pubblicare questo video in quanto toccante testimonianza di un tema che mi sta molto a cuore. Tuttavia considero riprovevole il modo in cui questo esperimento è stato condotto, motivo per cui eticamente mi dissocio.

La relazione con la madre fornisce al bambino una “base sicura” dalla quale egli può allontanarsi per esplorare il mondo ma subito farvi ritorno, in caso di minaccia, per ricevere conforto e sicurezza. Lo sviluppo della personalità risente moltissimo della possibilità di aver sperimentato o meno una solida “base sicura”; soltanto nel primo caso il bambino riceverà i mezzi necessari per accrescere la fiducia in sé stesso e per dare, a propria volta, sostegno e fiducia agli altri.

Ci sono, invece, situazioni capaci di compromettere lo sviluppo emotivo e le relazioni affettive di un piccolo. Come, ad esempio, un disturbo depressivo nella madre.
Una donna depressa, infatti, tende generalmente a distaccarsi da tutto quello che le sta attorno, completamente assorbita dai problemi, dai sensi di colpa e della propria infelicità. Si tratta di un fardello talmente pesante e difficile da gestire che, inevitabilmente, tutto il resto passa in secondo piano, compresa la cosa più preziosa per una madre: il proprio figlio.
Una mamma depressa ha, generalmente, un atteggiamento meno affettuoso e comunicativo verso il proprio bambino ed è meno ricettiva verso i segnali che il piccolo le trasmette.
Ci sono madri che, nonostante la malattia, riescono ad occuparsi ugualmente dei propri figli. Difficilmente però, in quanto vittime del proprio malessere, riescono a trovare l'energia per trasmettere loro stimoli più complessi: sensoriali, emotivi e giocosi.
Conseguenza diretta di questa mancanza di rassicurazione e di interazione è la frustrazione del bisogno di attaccamento del neonato, che non di rado provoca disturbi della personalità (tra cui la mancanza di autonomia e di autostima) nell'età adulta.
La convivenza con una figura materna depressa ha effetti devastanti anche se coinvolge il bambino in un'età maggiore.
In questo caso, infatti, la perdita improvvisa di un punto di riferimento fino a quel momento stabile può provocare un traumatizzante crollo delle certezze.

Nel primo caso il bambino, abituato ad essere respinto ogniqualvolta cercava conforto e protezione nella madre, tenderà a costruire le proprie esperienze facendo esclusivamente affidamento su se stesso, ad evitare gli attaccamenti per convinzione del rifiuto ed a ricercare l’autosufficienza anche sul piano emotivo.
Nel secondo caso il bambino, avendo subito il crollo improvviso della propria "base sicura", risulterà più incline all'ansia da abbandono e sarà incapace di gestire distacchi prolungati, vivrà nella convinzione di non essere amabile e avrà come emozione dominante il senso di colpa.

All’inizio della vita il bisogno biologico legato all’alimentazione è presente insieme a un altro bisogno, anch’esso fondamentale, quello di essere amati, nutriti d’amore, di essere desiderati, voluti, accettati per quello che si è (John Bowlby).

sabato 12 febbraio 2022

EREDITA' DIFFICILI DA CANCELLARE

Ho ricevuto un'educazione piuttosto rigida, soprattutto da mio padre: tante aspettative, poca pazienza e zero comprensione. La sua regola era: "i miei figli dovranno imparare a cavarsela da soli perchè il mondo è delle persone sveglie!".
Vederci in difficoltà o percepire una nostra insicurezza lo infastidiva. Non sopportava di vederci fragili.
Quando doveva insegnarci qualcosa lo faceva con l'insofferenza e il nervosismo di chi dentro di sè pensa: "Non potrebbero imparare da soli? Sarà mica così difficile!".
La cosa peggiore è che, se ogni errore o indecisione provocava il suo scontento, nessun successo riusciva a meritarsi un suo cenno di approvazione. Sicuramente in tanti momenti è stato fiero di noi ma non ce lo ha mai dimostrato: non un complimento, non un gesto d'incoraggiamento o d'affetto.
Crescere con un padre duro e severo è tutt'altro che facile, un bel bagaglio di insicurezza e sensi di colpa è il minimo che si possa ereditare.
La cosa più difficile, però, è riuscire a liberarsi di quel condizionamento quando si raggiunge l'età adulta. Anche se non lo vuoi, anche se è l'ultimo del geni che vorresti avere nel tuo DNA, ormai è radicato dentro di te.

Me ne accorgo ogni volta che intraprendo qualcosa di nuovo e mi impongo tempi di apprendimento brevissimi, risultati superiori alla media e nessuna debolezza. Non mi aiuta confrontami con gli altri, penso che il mio dovere è fare meglio. Non so quante volte questo approccio ridicolo mi ha privato del piacere e del divertimento di fare le cose!
Quel che è peggio è che, spesso, mi trovo a provare intollerenza anche verso l'incapacità e la vulnerabilità altrui: quando vedo persone carenti, titubanti o arrendevoli la prima sensazione che provo è di fastidio.
Ogni volta che dietro una difficoltà intravedo mancanza di coraggio o di grinta divento impietosa.

E' evidente che sto facendo l'ultima cosa che avrei mai pensato di fare: perpetuare il comportamento per cui ho sofferto di più nella mia vita.
Pur riconoscendone la bassezza, pur sapendo il male che può provocare, faccio fatica a liberarmene.
So di essere a metà di un lungo percorso: è stato difficile riconoscere questo atteggiamento, ammettere il dolore che provocava a me stessa ed agli altri e, ancora più penoso, ricondurlo al mio passato rivivendo i dolori della mia infanzia.
Ora si tratta di raggiungere l'ultimo importante obiettivo: indebolire fino a distruggere questo gene per imparare a liberare amore, fiducia e compassione.
Lo devo alle persone che amo, ai figli che avrò, a me stessa.
 
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