Mi capita spesso di vedere gente farsi in quattro per costruire delle relazioni di amicizia sul posto di lavoro organizzando aperitivi, festicciole oppure condividendo aspetti della propria vita privata in maniera del tutto inopportuna.
Siccome io tendo a coltivare i rapporti interpersonali lavorativi per lo più nella forma di piacevoli collaborazioni, mi sono sempre chiesta che cosa spingesse molte persone a cercare con forza dei legami anche con colleghi con cui, oggettivamente, avevano ben poco da spartire.
Il motivo, a pensarci bene, è facilmente intuibile. Dentro l'ufficio tendono ad attivarsi gli stessi comportamenti istintivi che si instaurano all’interno di qualsiasi altro gruppo sociale: il bisogno di vicinanza e di condivisione che inducono al rapporto con gli altri per combattere la paura della solitudine e superare l’ansietà e le difficoltà in generale.
Il timore di diventare il bersaglio preferito dei pettegolezzi e critiche del gruppo, di venire esclusi dalle conversazioni o iniziative, spinge le persone a lottare per ottenere la stima e la solidarietà di presunti alleati. Per questo motivo non è raro vedere individui molto diversi tra di loro appigliarsi a improbabili interessi in comune pur di non restare soli.
Difficilmente le persone intuiscono che queste relazioni non spontanee e basate sull’insicurezza spesso portano più guai che benefici. Infatti, mancando alla base una stima o affetto sinceri, questi legami difficilmente hanno lo spessore per resistere all’ambizione, gelosie e pressioni che caratterizzano tipicamente un contesto lavorativo. In più, il desiderio di accorciare le distanze in tempi rapidi porta di frequente questi individui a instaurare relazioni esclusive o eccessivamente confidenziali fin da subito. Niente di più sbagliato in un ambiente come l’ufficio dove è, sicuramente, più intelligente privilegiare il gruppo al singolo e relazionarsi agli altri con discrezione e attenzione, evitando di mettere in piazza le proprie debolezze e vulnerabilità.
Con questo non intendo promuovere una vita d’ufficio in solitudine, anzi. In fin dei conti trascorriamo al lavoro 220 giorni all’anno! Un buon affiatamento e, perché no, un rapporto di amicizia con un/a collega che probabilmente è in grado di comprendere più di altri le nostre ambizioni e progetti nonché le nostre difficoltà e preoccupazioni, è quanto di meglio si possa auspicare.
L’importante è lasciare che le cose accadano in maniera naturale, senza forzare la mano e imparando a convivere con gli altri nel modo più tranquillo e sereno possibile. Se poi, con il passare del tempo, accade di costruire un’intesa particolare con un/a collega, complici la stima e la sintonia, allora è probabile che verranno da sé anche la fiducia e l’affetto. In quel caso, solo in quello, il lavoro passerà in secondo piano e si potrà parlare veramente di amicizia.
martedì 8 marzo 2022
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1 commento:
Perche non:)
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