L’ “Isola sotto il mare” di Isabelle Allende è ambientato nel 1770 sull’isola di Saint Domingue, la colonia francese che diventerà la prima Repubblica nera di Haiti: all’interno dei campi, tra le canne da zucchero, gli schiavi muoiono di stenti e di fatica.
Zaritè (Tété) è una di loro anche se non vive all’aria aperta bensì nella casa patronale: ha nove anni quando viene venduta e solo undici quando verrà violentata la prima volta da Toulouse Valmorain, il padrone che la metterà incinta sottraendole il neonato subito dopo il parto.
Ossessionati dal desiderio di libertà, gli schiavi delle piantagioni fuggono, incendiano, devastano e arrivano, persino, a desiderare la morte.
Tété, invece, diventata adulta comprende che solo con la calma e il coraggio, solo coltivando le proprie capacità e rendendosi indispensabile potrà raggiungere l’emancipazione per se stessa e per i propri figli.
Tété, ironica e intelligente, si sottomette umile e silenziosa alla volontà dei padroni senza mai perdere la propria dignità.
Tété, ironica e intelligente, si sottomette umile e silenziosa alla volontà dei padroni senza mai perdere la propria dignità.
“Aspetta, Tété. Vediamo se ci aiuti a risolvere un dubbio. Il dottor Parmentier sostiene che i neri siano umani quanto i bianchi e io dico il contrario. Tu che ne pensi?”, le domandò Valmorain (…)
Lei rimase muta, con gli occhi rivolti a terra e le mani giunte.
“Forza, Tété, rispondi senza timore. Sto aspettando …”.
“Il padrone ha sempre ragione” mormorò lei in conclusione.
“In altre parole, pensi che i neri non siano completamente umani …”,
“Un essere che non è umano non ha opinioni, padrone”.
Tété, attenta e sagace, accetta la vita senza subirla con la consapevolezza che anche le situazioni peggiori, se affrontate con lucidità e decisione, possono offrire delle piccole occasioni di cambiamento.
La sua esistenza è una continua evoluzione in ruoli diversi: lei coglie ogni nuova opportunità di vita senza esitazione adattandosi ai compiti e alle situazioni più disparate: da bambina a madre, da amante a badante, da nutrice a infermiera; in tutte le figure appaiono evidenti la passione, l'amore, la tenacia di una donna non si piega al fato, ma che balla per sentirsi libera.
Balla, balla, Zaritè, perché lo schiavo che balla è libero … finché balla.
Così, con pazienza calcolata e impegno, Tété costruisce il proprio destino: grazie alle sua curiosità e alle sue qualità riesce a diventare la schiava personale della moglie del padrone tanto da esserle indispensabile, ad imparare l’arte di prendersi cura dei malati, ad approfittare di una situazione unica nella sua drammaticità per estorcere al padrone la promessa di libertà.
Quello di Tetè è il silenzio di chi osserva, la passività di chi nasconde una forza d’animo e una poliedricità insospettabili.
Arrivata a quarant’anni, facendo un bilancio della propria vita, Tété dice: ”Ho avuto maggior fortuna di altre schiave. Vivrò a lungo e la mia vecchiaia sarà gioiosa, perché la mia stella – la mia z'étoile – brilla anche quando la notte è luminosa’‘.
Nessun commento:
Posta un commento